venerdì 19 aprile 2024

Incubi notturni (1945)

A causa degli Oscar avevo un po' abbandonato la challenge Horrorx52 di Letterboxd, ma torno oggi sfruttando il prompt "Film horror uscito prima del 1950" per parlare di Incubi notturni (Dead of Night), diretto nel 1945 dai registi Alberto Cavalcanti, Charles Crichton, Basil Dearden e Robert Hamer.


Trama: l'architetto Walter Craig viene invitato a supervisionare alcuni lavori in una casa nella campagna del Kent. Appena arrivato, si rende conto di avere sognato non solo di essere stato lì, ma anche le persone riunite all'interno della casa. Per liberarlo dell'inquietudine, i convenuti cominciano a raccontare le loro presunte esperienze col paranormale...


La challenge di Letterbox è un modo utile per smaltire la mia ormai infinita wishlist di film da vedere. Se vi chiedete come ci fosse finito dentro un film del 1945, dovete ovviamente "dare la colpa" a Lucia, che aveva scelto proprio Incubi notturni come horror per la sua rassegna del genere attraverso gli anni. Ha avuto ragione a farlo, come sempre. Incubi notturni può vantare, oltre all'avvallo di Martin Scorsese che lo ha definito il quinto film più spaventoso di sempre, il titolo di "nonno" di tutti gli horror antologici e dei portmanteau della Amicus; inoltre, è l'unico esempio di film horror (o comunque a tema inquietante e sovrannaturale) uscito nel periodo della seconda guerra mondiale, quando questo genere di pellicole era stato messo al bando in Inghilterra e non veniva più prodotto. A prescindere da questi interessanti cenni storici, che comunque aumentano il valore di Incubi notturni e che vi invito ad approfondire su blog ben più specializzati del mio e pubblicazioni cartacee, il film si è rivelato una visione assai piacevole, ed equilibrata nelle varie anime che la compongono. La cornice di per sé è già perturbante: abbiamo, infatti, un uomo che, invitato in una dimora sconosciuta da persone mai viste prima, si rende conto, una volta giunto in loco, di avere sognato quella esatta situazione e di riconoscere quindi i volti dei convenuti; ancor peggio, sa che, se rimarrà lì, accadrà qualcosa di orribile. La cornice del film, come dicevo, è già un episodio inquietante, imperniato su una cupa ineluttabilità che rende le persone marionette nelle mani di un destino ciclico da cui non è possibile sfuggire e, nonostante i dialoghi tendano a rappresentare una borghesia serena e razionale nella sua fascinazione verso l'inspiegabile, l'angoscia del protagonista risulta palpabile, anche grazie all'ottimo uso di luci e regia. Le diverse storie vengono introdotte proprio dalla volontà dei vari personaggi di liberare il protagonista dal terrore di essere diventato pazzo, intento che, mano a mano che il film prosegue, si trasformerà in una sfida verso il razionale Dr. van Straaten che, in quanto psichiatra, si impegna a "smontare" ogni racconto ed ogni esperienza narrata. Ma andiamo a vedere i singoli episodi, senza fare troppi spoiler.


I primi due, a onor del vero, non sono particolarmente entusiasmanti. Il primo riprende un po' il tema della cornice (non a caso il regista è lo stesso) ed è la versione breve di un tipico episodio di serie come Ai confini della realtà, tra presagi di morte e tragedie sfiorate per un pelo, mentre il secondo è una sorta di "non lo famo ma lo dimo" in cui una ragazzina si trova a tu per tu col fantasma più dolce e innocuo dopo Casper, per poi sentirsi raccontare di un orribile delitto legato all'apparizione. Piccoli antipasti, non particolarmente impegnati né a livello di regia né di interpreti, che lasciano il posto al più sostanzioso The Haunted Mirror. L'episodio diretto da Robert Hamer è un interessante gotico che riprende il tema del terrore di essere costretti a dubitare dei propri occhi, alla mercé di visioni che paiono precluse ad altri; in questo caso, il protagonista si ritrova vittima di uno specchio che riflette il passato, invece della realtà presente, e la sua psiche viene cancellata da quella del precedente proprietario. Il carattere spigliato e volitivo della futura moglie non inficiano nemmeno un po' la sensazione perenne (enfatizzata da una regia rigorosa e priva di fronzoli) di essere soli di fronte all'inspiegabile, privi di difese e pronti a venire inghiottiti dall'oscurità nel momento esatto in cui la quotidianità e luce del giorno lasciano il posto alla solitudine e alle ombre. Dopo un'immersione in queste suggestioni cupe, il film si sposta in territori più rilassanti. The Golfer's Story (diretto, non a caso, dal futuro regista di Un pesce di nome Wanda) è una spassosa storia di imbroglioni e fantasmi, che inizia col suicidio più rassegnato e tranquillo della storia del cinema, e diverte lo spettatore con una coppia di amici/nemici in pieno stile Lemmon e Matthau, impegnati in una contesa a base di donne e trofei. Il segmento è piacevolissimo, gli attori simpatici e l'umorismo garbato, nel complesso una chicca d'altri tempi.


L'ultimo episodio prima della risoluzione finale è talmente moderno da avere segnato una base fondamentale per tutto ciò che è venuto dopo. Qualunque altra opera a base di marionette, bambole e ventriloquia è un'imitazione più o meno riuscita di un pattern stabilito con The Ventriloquist's Dummy, un capolavoro di disagio psicologico ed inquietudine che non dà mai una risposta univoca allo spettatore, lasciato, nelle ultime sequenze, a chiedersi quale sia la reale natura del rapporto tra Maxwell Frere e il suo pupazzo Hugo. Michael Redgrave, nei panni di Frere, è un modello di nervosa apprensione ma, ovviamente, ciò che rimane impresso a fuoco nella mente dello spettatore è Hugo, spaventevole pupazzo dalla strana scintilla vitale negli occhi, palese modello del terrificante pupazzo Slappy di Piccoli Brividi. La sensazione di allucinata incertezza che The Ventriloquist's Dummy instilla nello spettatore viene trattenuta ed enfatizzata dal finale del film, che rivela il destino del protagonista appropriandosi di una qualità onirica mancante fino a quel momento, in un delirante turbinio di immagini da incubo. Le ultime battute di Incubi notturni, nonostante il ritorno a una regia e ad ambienti più casalinghi, non sono atte a rassicurare, anzi; anche in questo caso, un film di quasi 80 anni fa risulta modernissimo non solo per la sua struttura circolare, ma soprattutto per come si rapporta allo spettatore rispettandone l'intelligenza e mettendolo alla prova, senza cadere in soluzioni banali e cercando vie nuove per intrattenere ed inquietare. Per tutti questi motivi, Incubi notturni è per me degno della definizione di capolavoro che molti registi e addetti ai lavori gli tributano e, se non lo avete mai visto, vi consiglio di recuperarlo senza indugio!! 

Alberto Cavalcanti è il regista degli episodi Christmas Party e The Ventriloquist's Dummy. Brasiliano, ha diretto film come Sono un criminale e O canto do mar. Anche produttore, sceneggiatore e attore, è morto nel 1982 all'età di 85 anni.


Charles Crichton
è il regista dell'episodio The Golfer's Story. Inglese, ha diretto film come Un pesce di nome Wanda ed episodi di serie quali Agente speciale e Spazio: 1999. Anche sceneggiatore e produttore, è morto nel 1999 all'età di 89 anni.


Basil Dearden
 è il regista della cornice e dell'episodio The Hearse Driver. Inglese, ha diretto film come Cuore prigioniero, Frida l'amante straniera, I giovani uccidono, Zaffiro nero e Victim. Anche produttore e sceneggiatore, è morto nel 1971 all'età di 60 anni.


Robert Hamer
è il regista dell'episodio The Haunted Mirror. Inglese, ha diretto film come Sangue blu e Uno strano detective. Anche produttore e sceneggiatore, è morto nel 1963 all'età di 52 anni.


Parratt e Potter, protagonisti dello spassoso The Golfer's Story, derivano dai personaggi Charters e Caldicott, interpretati dagli stessi attori in La signora scompare di Alfred Hitchcock e, da allora, comparsi in innumerevoli produzioni, tra cui anche una serie TV a loro dedicata. Se Incubi notturni vi fosse piaciuto, consiglio di recuperare La morte dietro il cancello e Racconti dalla tomba. ENJOY!

mercoledì 17 aprile 2024

Ghostbusters - Minaccia glaciale (2024)

Sabato sono andata a vedere Ghostbusters - Minaccia glaciale (Ghostbusters - Frozen Empire), diretto e co - sceneggiato dal regista Gil Kenan. L'ha già visto persino la bonanima di mia nonna ma non farò spoiler.


Trama: i membri della famiglia Spengler si sono trasferiti a New York e sono ormai acchiappafantasmi a tempo pieno. Giusto in tempo per affrontare un'antica divinità votata alla distruzione dell'umanità intera...


Mi rendo conto di essere ormai fuori tempo massimo (come lo sono Aykroyd, Murray e compagnia. Ma ci torno più avanti) quindi non mi sento di essere troppo tranchant nel giudizio verso Ghostbusters - Minaccia glaciale. E' piaciuto al fanciullo seduto accanto a me, figlio tredicenne di uno dei miei storici compari di horror, e tanto basta. Questi sono film che vengono realizzati per loro e per i nostalgici dello zoccolo duro, quelli che vorrebbero vedere tornare gli attori originali anche fossero affetti da demenza senile e col catetere attaccato, basta poter indicare lo schermo e ridere, commossi, dell'ennesima citazione al primo, storico Ghostbusters. Dico questo perché i ragazzini delle medie non hanno (e non gliene faccio una colpa perché alla loro età ero uguale, è giusto e normale che sia così) abbastanza esperienza da fare le pulci a una sceneggiatura costruita sul nulla, dove nessun personaggio introdotto in Legacy è riuscito ad evolvere o diventare minimamente interessante, tanto che Gil Kenan e Jason Reitman hanno dovuto introdurre altri due nuovi membri della squadra per insaporire un po' questo piatto insipido (fallendo male, come Calenda). Inoltre, i ragazzini delle medie probabilmente apprezzano molto di più la CGI odierna, che a me sembra sempre posticcia e senza fantasia, rispetto ai rozzi effetti speciali artigianali di un tempo, che ai miei occhi risultano invece ancora freschi, colmi di inventiva ed ingegno. Quindi, ripeto, non sono più io il target di queste opere. Hai voglia, infatti, a dire che una delle fonti di ispirazione di Ghostbusters - Minaccia glaciale è la serie The Real Ghostbusters, quando il "mostro finale" si vede e no dieci minuti ed è un pupazzone brutto come il peccato, mentre prima del suo arrivo i fantasmi si contano sulle dita di una mano. Se non altro, i bambini non conoscono per nulla il cartone animato che spingeva me e le mie compagne di scuola ad inventarci pazzesche avventure nei panni degli Acchiappafantasmi titolari (io ero Ray, per inciso), quindi apprezzeranno anche quel poco che si vede come una novità, senza fare confronti. Diverso il discorso per gli ultraquarantenni che piangono, pubblico di invasati rappresentato dal matusa piagnone per eccellenza, Dan Aykroyd. E qui aprirò un libro più lungo di quelli che potrete trovare nella biblioteca in cui, guarda caso, troverete un'altra vecchia (e sottolineo vecchia) conoscenza in una riproposta fotogramma per fotogramma di una delle scene più iconiche di Ghostbusters.


'Sto cazzo de Ghostbusters. Gil Kenan, Jason Reitman, io ve lo buco 'sto Ghostbusters. Ma siete capaci a rinfrescare la serie senza citare ogni 5 minuti il film del 1984? Non se ne può più, santo cielo. Il secondo tempo di Legacy non aveva un'idea originale che fosse una ma, per carità, ci stava perché era un film di passaggio tra il vecchio e il nuovo; però nel frattempo sono passati quasi quattro anni, cosa vi costava realizzare un sequel in cui i riflettori fossero puntati sulla famiglia Spengler E BASTA, magari anche con location nuove, inventandovi qualcosa legato a quel poco di originale che era stato raccontato nel film precedente? Eh no, perché altrimenti povero Aykroyd che da decenni non ha più il controllo del suo film preferito. Ma Dan mio, hai idea della tristezza che provo a vederti portare avanti sempre lo stesso personaggio che in trent'anni non ha mai messo piede fuori dal suo negozietto, e soprattutto che si atteggia a nonno comprensivo con le nuove leve, annuendo con sorriso bonario ogni maledetta volta che McKenna Grace e il cinese di cui non ricordo il nome ripetono a pappagallo le battute o i concetti del vecchio Ghostbusters? Bill Murray, di te non voglio nemmeno parlare. Anni a dar contro al franchise e poi sei sempre il primo a tornare, fingendo scazzo cosmico prima di passare a ritirare l'assegno. Ma davvero devo arrivare a 43 anni disconoscendoti, tu che sei stato il mio primo amore? Non bastasse il bisogno di infilare nel film facce ormai incartapecorite (giuro che a vedere Annie Potts salire le scale arrampicandosi coi corrimano mi si è spezzato il cuore), Kenan e Reitman sono riusciti non solo a privare di spessore i nuovi protagonisti, ma hanno aggiunto anche altri personaggi di cui non frega un belino a nessuno. L'unica cosa interessante, potenzialmente, sarebbe stata l'evoluzione del rapporto tra i giovani Spengler e un ex insegnante ormai diventato ufficialmente fidanzato di mammà, rapporto complicato dalla decisione familiare di lavorare tutti come acchiappafantasmi, ma dei quattro personaggi coinvolti due (Trevor e Callie) stanno lì a far numero, Gary è costretto al ruolo del goffo minchione mentre Phoebe si è tenuta tutti gli aspetti lunatici ed asociali del nonno senza ereditare nemmeno un briciolo della sua simpatia. Prendete Sheldon e toglietegli ogni aspetto divertente, avrete un'idea di quanto sia pesante Phoebe in versione adolescente scazzata col mondo. Il cinese e la tizia coi dread erano insignificanti già in Legacy e qui non sono nemmeno in grado di evolvere in love interest per i protagonisti, mentre il mastro di fuoco (e certo, come volevi chiamarlo, sennò? Guardia di ghiaccio?) e lo scienziato biondo mi fanno solo venire voglia di andare da Rick Moranis e Sigourney Weaver e abbracciarli forte, augurando loro di non finire coinvolti nemmeno per sbaglio in un eventuale terzo capitolo. E porca miseria, alla fine sono stata TROPPO tranchant col giudizio, scusate. Rimedio assegnando voto 10 ai soliti marshmallow tenerini e a quel miracolo della natura di Paul Rudd. In un film dove tutti invecchiano male, persino i ragazzini, lui continua a rimanere figo e giovanile. Avrà mica un autoritratto nascosto in soffitta?  


Del regista e co-sceneggiatore Gil Kenan ho già parlato QUIPaul Rudd (Gary Grooberson), Carrie Coon (Callie Spengler), Finn Wolfhard (Trevor Spengler), Mckenna Grace (Phoebe Spengler), Kumail Nanjiani (Nadeem Razmaadi), Patton Oswalt (Dr. Hubert Wartzki), Emily Alyn Lind (Melody), Bill Murray (Peter Venkman), Dan Aykroyd (Ray Stantz), Ernie Hudson (Winston Zeddmore), Annie Potts (Janine Melnitz) e William Atherton (Sindaco Walter Peck) li trovate invece ai rispettivi link.


James Acaster
, che interpreta Lars, presta la voce all'Armadillo di Zerocalcare nel doppiaggio inglese di Questo mondo non mi renderà cattivo. Le scene in cui Trevor cerca di acchiappare Slimer sono simili ad alcune sequenze scartate da Ghostbusters II, dove al posto del ragazzino c'era Louis Tully; a proposito di Louis, se Ghostbusters - Minaccia glaciale vi è piaciuto recuperate Ghostbusters , Ghostbusters II e Ghostbusters LegacyENJOY!

martedì 16 aprile 2024

Monkey Man (2024)

Attirata da un trailer abbastanza zarro, sabato scorso sono andata a vedere Monkey Man, diretto, co-sceneggiato e interpretato dal regista Dev Patel.


Trama: a Mumbai, un uomo senza nome combatte sul ring con una maschera da scimmia. Il suo scopo, però, è la vendetta per una tragedia subita da bambino...


Ben vengano i film di menare! I quali, da John Wick in poi, sono usciti dalla nicchia ignorante in cui erano stati relegati dopo i gloriosi anni '80, per diventare uno dei generi più remunerativi dell'industria, a prescindere che si tratti di robetta divertente e poco tecnica, oppure di drammi più seri con attori, stuntman o registi che ne sanno a pacchi. Dev Patel, per esempio, è cintura nera primo dan di taekwondo, inoltre i suoi genitori hanno origini indiane, forse per questo ha deciso di coniugare la sua conoscenza delle arti marziali e il suo retaggio culturale dando vita a un film di menare profondamente radicato nella cultura indiana, al punto che scrivere questa recensione potrebbe essere un campo minato di ignoranza in materia. Ammetto, infatti, di non conoscere quasi per nulla la sterminata produzione cinematografica indiana, e mi dispiacerebbe parlare, come stanno facendo parecchie recensioni oltreoceano, di John Wick a Mumbai, quando magari i modelli di Patel erano altri; inoltre, ammetto di non sapere nulla dell'India, né delle mille caste, sottoculture, religioni che l'arricchiscono. Per dire che, a un certo punto del film, entrano in gioco gli Hijra, persone transgender e intersessuali (un tempo, anche eunuchi), che vivono in comunità ai margini della società, osteggiate dalla polizia e, in generale, poco riconosciute e rappresentate. Le comunità Hijra mi erano completamente sconosciute fino a domenica, e Monkey Man mi ha aperto letteralmente un mondo, ma l'intera figura del protagonista è basata sulla leggenda della divinità Hanuman, ci sono parecchi rimandi alle disparità della società indiana, e altri elementi folkloristici che un'occidentale ignorante come me rischia di lasciar cadere come mere note di colore, invece chissà quali significati hanno. Questo per dire che il problema di Monkey Man è quello di risultare un mero rip-off di John Wick per questioni superficiali di apparenza e stile, e che fuori da un contesto un po' meno ignorante si potrebbe apprezzare maggiormente la storia di vendetta e riscatto (già sentita e vista mille volte) che costituisce il canovaccio della sceneggiatura. Non che non si possa godere del film anche così, ci mancherebbe. Vedere un tizio incazzatissimo fare giustamente a pezzi chi ha condannato ad una fine indegna la madre e il luogo paradisiaco dov'è cresciuto  può far solo che bene, e se in mezzo ci sono della tamarreide e un allenamento fisico/mistico per diventare un super uomo-scimmia, ancora meglio.


A proposito di fisico "mistico", Dev Patel è tanta roba. Non me ne voglia Keanu Reeves, ma il nostro ha la fisicata d'ordinanza e si muove bene, non si può negare, benché forse la gamma espressiva richiesta dal personaggio del Monkey Man titolare non richiedesse le doti attoriali di Patel, maggiormente apprezzabile in altri ruoli. Diciamo che, a un certo punto, mi sono ritrovata come gli Hijra ad applaudire davanti agli allenamenti a suon di musica del protagonista, e non solo per la scelta interessante di ritmare i colpi in base alla cadenza dello strumento (altra scelta musicale che ho molto apprezzato, al di là di una colonna sonora che mescola roba tamarrissima a melodie che mi aspetterei in un film di Bollywood, è l'uso improprio di un coltello mentre nell'ascensore risuona Anna dai capelli ross.. ehm, Rivers of Babylon). Quello che contesto a Patel, attore, sceneggiatore e regista, è proprio il modo in cui utilizza la macchina da presa. Anche il montaggio isterico ha le sue colpe, per carità di Dio (che va bene essersi fatti due palle tante con Priscilla ma per poco non mi veniva da vomitare guardando Monkey Man), però quello che salta all'occhio è il fatto che Patel abbia scelto di non utilizzare nemmeno una singola inquadratura centrata. Ogni immagine del film prevede che il soggetto della stessa non sia mai centrale, ma appena un po' scostato verso destra, sinistra, o addirittura con la faccia tagliata in basso, oppure leggermente sfuocata, in ombra, nascosta nello sfondo, persa in visioni mistiche, quello che volete. Se mi dovessero puntare una pistola alla testa e chiedere se c'è un'immagine che mi è rimasta impressa direi di no, perché l'impressione generale che ho avuto di Monkey Man prima che cominciassi ad avere fastidio agli occhi causa sovraccarico sensoriale è quella di un'ipercineticità portata all'estremo. Un difetto forse trascurabile, ma che mi costringerà, prima o poi, a riguardare il film per essere certa di avere colto tutte le cose importanti. Nel frattempo, io ve lo consiglio, chissà che non vi venga voglia, dopo la giusta dose di botte, di imparare anche qualcosa sull'India e la sua variegatissima cultura!


Di Dev Patel, che è regista, co-sceneggiatore della pellicola e interpreta il protagonista senza nome, ho già parlato QUI, mentre Sharlto Copley, che interpreta Tiger, lo trovate QUA.


Se Monkey Man vi fosse piaciuto, recuperate la saga di John Wick. ENJOY!

venerdì 12 aprile 2024

Omen - L'origine del presagio (2024)

Dopo l'abbuffata di "Presagi" sono andata ovviamente a vedere Omen - L'origine del presagio (The First Omen), diretto e co-sceneggiato dalla regista Arkasha Stevenson.


Trama: nel 1971, la novizia Margaret si trasferisce in un convento di Roma per prendere i voti. Lì si ritroverà invischiata in un complotto per fare nascere l'Anticristo...


Finalmente si è concluso questo mese a base di presagi. In tutta onestà, non poteva finire meglio. Dopo la qualità calante dei sequel de Il presagio, film entrato giustamente a fare parte della storia del genere cinematografico "satanico", questo prequel è stata una boccata d'aria fresca. La cosa è paradossale, potete immaginare perché. The First Omen racconta tutto ciò che conduce all'inizio de Il presagio, quindi sappiamo già come andrà a finire, cioè male, e chi si è da poco immerso nella saga, come me, potrebbe farsi persino un'idea chiara di come e per chi andrà a finire male più o meno dalle prime scene. Non che sia un problema visto che, salvo un paio di incongruenze/forzature e qualche "maccosa", la trama di The First Omen è coinvolgente e interessante. Protagonista è Margaret, novizia americana che si trasferisce a Roma per prendere i voti e viene accolta all'interno di un orfanotrofio per sole bambine. Fin dall'inizio, l'esperienza di Margaret non è tutta rose e fiori: la madre superiora ha un cuore decisamente arido e poco cristiano, una bambina in particolare viene ostracizzata e tenuta separata dalle altre, tremende visioni del passato tornano a perseguitare la novizia e c'è anche il disagio di avere una compagna di stanza decisa a sperimentare piaceri molto terreni prima di indossare per sempre il velo. In generale, ciò che si percepisce di Margaret è uno stato di confusione, solitudine e spaesamento, dettato dapprima dal doversi adattare ad un Paese sconosciuto (il pout-pourri linguistico del film sarebbe molto interessante ma, ahimé, l'adattamento italiano ha dato una bella piallata in tal senso) e poi da eventi sempre più inquietanti che accrescono la diffidenza della protagonista e, parallelamente, anche la sua forte volontà di decidere del proprio destino. Nonostante, infatti, il punto di vista di The First Omen sia prevalentemente femminile, il film parla di una femminilità schiacciata e violata a più riprese, sfruttata da un sistema ecclesiastico governato ovviamente da uomini, dove le donne non sono solo serve/spose di Dio, ma anche sottoposte alle decisioni degli alti prelati. Come già nel Presagio originale, la Chiesa ci fa una ben magra figura, o mostrando una debolezza isterica (sono sempre dell'idea che se Padre Brennan la smettesse di terrorizzare il prossimo coi suoi modi da matto, il Maligno avrebbe meno possibilità) o qualcosa di ancora più oscuro, che nel primo film era stato giusto accennato (sì, negli anni '70 si parlava di satanisti, ma mi sono sempre chiesta perché nella nascita di Damien fossero coinvolti anche dei preti e delle suore) e che qui diventa fulcro stesso della trama, eliminando la nozione di "satanismo".


Rimanendo in tema "violazione della femminilità", The First Omen ha delle sequenze agghiaccianti assimilabili al body horror (un paio delle quali farebbero passare la voglia di partorire persino alla più fervente mamma pancina) che sono poi quelle più originali, riuscite e distanti dai necessari omaggi riaggiornati a Il presagio. Arkasha Stevenson, che si è fatta le ossa con serie interessanti e "visionarie" come Channel Zero, Legion e Al nuovo gusto ciliegia, dimostra di avere occhio per le atmosfere che richiamano l'horror anni '70 e non le scimmiotta, bensì le riporta in vita con gli stessi colori, la stessa morbidezza ed eleganza, spingendo lo spettatore a temere non solo quello che potrebbe nascondersi nel buio, ma anche ambienti familiari, in primis una città turistica come Roma. La sequenza che ho preferito è quella in cui il focus della cinepresa si allarga fino a mostrare come le luci che circondano Margaret siano posizionate in modo da rappresentare un viso demoniaco che la inghiotte, ma non è l'unico tocco di raffinatezza; tutto il film richiama alla mente capolavori come Suspiria, in particolare per l'uso del sonoro (per non parlare di quando esplode, prepotentissimo, lo score di Jerry Goldsmith nella scena clou. Non so se mi ha causato più brividi di gioia quello oppure Rumore della Carrà), mentre Possession viene esplicitamente citato poco prima del finale. A tal proposito, Arkasha Stevenson dimostra di sapere anche scegliere bene gli attori. Nell Tiger Free non è solo bellissima, ma anche brava nell'esprimere il tormento e la forza di Margaret, oltre a prestare il corpo ad un paio di scene disgustose, ma in generale tutto il cast di supporto è formato da facce espressive ed inquietanti, con menzione d'onore per Maria Caballero, la quale sul finale è talmente bella e solenne da mozzare il fiato. L'unica cosa che non ho granché apprezzato di The First Omen è l'apertura verso potenziali spin-off della serie, che manda un po' in vacca l'impressione di avere davanti un'opera curata e realizzata con passione, non con l'intento di fare soldi a palate gabbando, in futuro, gli spettatori babbei. E' vero che produce Disney, e che la malvagità della Casa del Topo supera quella di Damien, ma per stavolta spererei che i presagi finiscano in gloria, con questo bel prequel.


Di Ralph Ineson (Padre Brennan), Charles Dance (Padre Harris) e Bill Nighy (Cardinale Lawrence) ho parlato ai rispettivi link. 

Arkasha Stevenson è la regista e co-sceneggiatrice del film. Americana, ha diretto episodi di serie come Channel Zero, Legion e Al nuovo gusto ciliegia. E' anche produttrice. 


Nell Tiger Free
interpreta Margaret. Inglese, ha partecipato a serie come Il trono di spade e Servant. Ha 25 anni. 


Sonia Braga
, che interpreta Sorella Silva, era la protagonista de Il bacio della donna ragnoOmen - L'origine del presagio è il prequel de Il presagio quindi, se vi fosse piaciuto, recuperate almeno il primo film, visto che il resto della saga non è proprio un capolavoro! ENJOY!

mercoledì 10 aprile 2024

Priscilla (2023)

Mercoledì sono andata a vedere Priscilla, diretto e co-sceneggiato nel 2023 dalla regista Sofia Coppola a partire dall'autobiografia Io ed Elvis di Priscilla Presley.


Trama: cronaca dell'amore tormentato tra la giovanissima Priscilla Beaulieu e il famoso Elvis Presley.


Per parafrasare l'Elvis del film: "non sei tu, è che io...". E' che io, a 43 anni, probabilmente mi sono rotta le scatole di vedere film dalla confezione perfetta che, per tutta la loro durata, ribadiscono un unico concetto, ricamandoci sopra sfruttando sequenze e dinamiche sempre uguali. E' che io probabilmente non mi sono ancora ripresa dagli Oscar di quest'anno. E' che io, Sofia mia dolce, ti voglio bene al punto da aver amato anche Bling Ring, inviso credo persino ai tuoi parenti, ma stavolta non posso fare finta di niente, continuando a subire per amore senza mai dirti una parola di biasimo. A 43 anni, mi dispiace, mi tocca prendere le valigie e andarmene, canticchiando I Will Always Love You di Dolly Parton. Ma, ripeto, non sei tu. Il tuo modo di raccontare lo spleen dell'esistenza è sempre lo stesso: malinconico ed elegante, con le tue protagoniste all'apparenza tanto fragili che basterebbe un soffio per spezzarle, che nascondono tuttavia una tempra d'acciaio, la solida volontà di seguire il loro cuore, anche se ciò può nuocere. La solitudine, anche nella ricchezza e nel lusso, della tua Priscilla, richiama quella dell'amata Maria Antonietta, un'altra sposa bambina ritrovatasi suo malgrado sotto i riflettori e costretta ad inghiottire lacrime di infelicità, lei che voleva solo l'amore e la spensieratezza. Quella fotografia soffusa, che ammorbidisce i contorni di una realtà dolorosa e, allo stesso tempo, la rende poco chiara, filtrata da un velo quasi onirico, non impedisce allo spettatore di cogliere tutti gli importantissimi dettagli legati al lusso, alla moda, al trucco, al parrucco, agli accessori, quelle piccole cose materiali che rendono la vita più sopportabile e spesso ci abbagliano fino a farci sbagliare strada; la colonna sonora, vintage ma moderna, con canzoni che accompagnano Priscilla nella gioia di essere la "Venere" che ha fatto perdere la testa ad Elvis, la cullano nell'illusione d'amore, e infine la portano a schiantarsi contro la dura personalità di un uomo complicato ed egoista, sempre pronto a farle richieste impossibili (Dolly Parton avrebbe voluto che I Will Always Love You la cantasse proprio Elvis, ma le pretese assurde del Colonnello Parker l'hanno portata a rifiutare). Non sei tu, ripeto, che hai scelto la bravissima Cailee Spaeny per inorridire lo spettatore con un rapporto che nasce già "strano", filtrato dagli occhioni innocenti di una ragazzina acqua e sapone desiderata da un uomo all'apice del suo successo e, in seguito, plasmata secondo i canoni di bellezza di Elvis, costretta a diventare donna prima del tempo pur vedendosi negare la conferma di essere matura per una relazione fisica.


Sono io, va bene? Sono io. Io che, all'ennesima inquadratura di Priscilla truccatissima, piccola e sola all'interno dell'immensità di Graceland, ti dico "ho capito. Ha tutto quello che una ragazzina della sua età vorrebbe avere ma è sola, terribilmente sola, però non ha il coraggio di tornare alla vita di prima perché comunque è innamorata di Elvis. Passiamo oltre: come affronterà quest'empasse?". La risposta è un numero imprecisato di sequenze in cui Priscilla cerca di risvegliare il desiderio sessuale di Elvis in camera da letto, con lui che, ogni volta, la rifiuta (arrivando, a un certo punto, persino a ricordare un'involontaria  - spero - parodia del finale di Frankenstein Junior). "Ho capito. Elvis era uno stronzo manipolatore, vittima di stronzi ancora più manipolatori di lui che, però, in questo film che si intitola Priscilla vengono soltanto nominati oppure mostrati di striscio, anche perché c'è già Elvis di Baz Luhrmann a dare un quadro chiaro della situazione. C'era un altro modo di far passare il concetto, diverso dall'alternare scatti di violenza ad avance sessuali rimandate al mittente, evitando così l'effetto barzelletta?". Al netto della mia intelligenza, della sensibilità individuale e anche della disposizione d'animo contingente, in tutta onestà questo Priscilla non mi ha smosso altro che un'enorme perplessità (per non dire di peggio) relativamente alle radici del sentimento di Elvis verso la bambolotta che è riuscito a manipolare per parecchi anni sfruttandone la giovanissima età. Quanto alla protagonista, rimane la tristezza davanti alla sua gioventù perduta e ai sogni infranti, ma dico anche che ho trovato il film molto superficiale nel tratteggiare ciò che si cela nell'animo di Priscilla, al punto da arrivare a chiedermi perché mai a qualcuno dovrebbe interessare un film che racconta la noia di giornate tutte uguali passate ad attendere con pazienza, quando forse poteva essere più illuminante concentrarsi su ciò che è successo a Priscilla dopo la fuga dalla prigione dorata di Graceland. Ciò detto, Sofia, io non smetto di volerti bene. Ci risentiamo al tuo prossimo film!


Della regista e co-sceneggiatrice Sofia Coppola ho già parlato QUI mentre Jacob Elordi, che interpreta Elvis, lo trovate QUA.

Cailee Spaeny interpreta Priscilla. Americana, ha partecipato a film come 7 sconosciuti a El Royale, Vice - L'uomo nell'ombra e How It Ends. Ha 26 anni e un film in uscita, Alien: Romulus


Se Priscilla vi fosse piaciuto recuperate Marie Antoinette, Elvis e Spencer. ENJOY!


martedì 9 aprile 2024

Omen - Il presagio (2006)

Potevo non concludere il recupero dedicato alla saga di Damien Thorn con Omen - Il presagio (The Omen), diretto nel 2006 dal regista John Moore?


Trama: poiché suo figlio è nato morto, l'ambasciatore Robert Thorn si fa convincere a sostituirlo, all'insaputa della moglie, con un altro bimbo nato lo stesso giorno. Il piccolo Damien cresce finché, a cinque anni, comincia a risultare evidente che è legato a qualcosa di oscuro... 


Che dire di questo Omen - Il presagio, se avete già visto e conoscete Il presagio del 1976? Nulla, in effetti, perché il film di Richard Donner non è una di quelle opere invecchiate male, che avrebbero bisogno di una rinfrescata. Non a caso, il film di John Moore non riaggiorna proprio nulla, a partire dalla storia. La vicenda di Robert Thorn e delle conseguenze della sua sventurata scelta dettata da amore paterno, proseguono identiche a quelle dell'originale, salvo per un'introduzione che riprende una delle idee di Conflitto finale (ci sono scienziati e preti spaventati davanti all'avvento di una cometa anormale e, sul finale, il Papa non reagisce benissimo al fato di Damien) e qualche piccolissimo aggiustamento a livello di morti, grazie anche ai mezzi sicuramente diversi da quelli del 1976. Per parlare al meglio di Omen - Il presagio dovrei dunque mettermi nei panni di chi non ha mai visto Il presagio, e in quel caso direi che le atmosfere angoscianti dell'originale vengono mantenute, in particolare l'equilibrato senso di ineluttabilità che condanna i protagonisti fin dalla prima inquadratura; dico "equilibrato" perché, nei seguiti, si è optato per il ricorso ad un aiuto demoniaco troppo pesante e sfacciato, mentre la sceneggiatura di Omen - Il presagio e del suo capostipite stanno ancora bene attente a veicolare un minimo di incertezza relativamente alla natura sovrannaturale delle varie morti e a quella demoniaca del bambino. Giusto per venire incontro a un gusto più moderno, nel remake sono stati introdotti incubi e visioni che mancavano nel capostipite, per il resto è davvero difficile trovare le differenze tra i due.


A livello di messinscena, John Moore ha cercato una propria cifra stilistica, pur contraendo un enorme debito con Il sesto senso di Shyamalan, uscito quasi dieci anni prima. Il colore di Damien, infatti, è il rosso, una tinta che si manifesta prepotente con abiti, oggetti o dettagli, nel momento in cui qualcosa di sovrannaturale oppure orribile sta per accadere. L'utilizzo del rosso è l'unica particolarità di un film elegante e pulito, dove l'ingerenza della CGI si fa sentire solo nelle sequenze ambientate a Subiaco, abbastanza farlocche non solo per la scelta di scurire tantissimo la fotografia ma anche per quella terrificante ed inutile nevicata davanti all'improbabile chioschetto con sopra scritto "Rinfresco" (tolto questo dettaglio, si vede già dalle campagne che lì i protagonisti non sono in Italia, bensì in Croazia). Quanto agli attori, bisogna riconoscere che i protagonisti del 1976 avevano una raffinatezza e un'eleganza congenita che quelli moderni si sognano, e che Harvey Stephens era un pargolo ben più cattivo e terrificante di questo moccioso mogio. A parte questo (forse perché lo ritengo un uomo bellissimo), Liev Schreiber è un protagonista valido che riesce a trasmettere tutto l'amore provato dal personaggio verso la moglie e il dolore incredulo di chi si ritrova tra le mani il figlio del demonio, e Mia Farrow nei panni di Mrs. Baylock fa molta più paura dell'originale, anche quando si presenta per la prima volta ai Thorn, e non credo fosse perché conoscevo già la natura folle della sua bambinaia. Agli amanti di Harry Potter, inoltre, farà piacere sapere che il professor Lupin e il secondo Silente sono della partita, il primo con una presenza consistente e attiva, il secondo con una comparsata di pochi minuti, che forse avrebbero potuto aumentare con un sequel che non è mai stato girato. Nel complesso, rispetto alla caduta libera dei seguiti, Omen - Il presagio è stato una visione gradevole, ma non comprendo granché l'utilità di una copia carbone di un film che ha fatto la storia del genere.


Di Liev Schreiber (Robert Thorn), Giovanni Lombardo Radice (Padre Spiletto), Julia Stiles (Katherine Thorn), David Thewlis (Keith Jennings), Pete Postlethwaite (Padre Brennan) e Michael Gambon (Bugenhagen) ho parlato ai rispettivi link.

John Moore è il regista della pellicola. Irlandese, ha diretto film come Die Hard - Un buon giorno per morire. Anche produttore, sceneggiatore e attore, ha 54 anni. 


Mia Farrow
interpreta Mrs. Baylock. Americana, ex compagna di Woody Allen (ma è stata sposata anche con Frank Sinatra), la ricordo per film come Rosemary's Baby, Il grande Gatsby, Assassinio sul Nilo, Zelig, Supergirl - La ragazza d'acciaio, La rosa purpurea del Cairo, Hannah e le sue sorelle, Radio Days, Crimini e misfatti, Ombre e nebbia e Be Kind Rewind. Ha 79 anni. 


Harvey Stephens
, il Damien de Il presagio, compare nei panni di un giornalista. Il ruolo di Katherine Thorn era stato inizialmente offerto a Rachel Weisz, che ha rinunciato perché in stato di gravidanza, mentre altre attrici in lizza erano Laura Linney, Hope Davis ed Alicia Witt; per il ruolo di Robert Thorn, invece, erano stati fatti i nomi di Pierce Brosnan e Jim Carrey. Se il film vi fosse piaciuto recuperate almeno Il presagio, di cui è il remake. ENJOY!

venerdì 5 aprile 2024

Omen IV: Presagio infernale (1991)

La follia mi ha colta. Siccome ieri è uscito il prequel de Il presagio, ho deciso di riguardare tutta la saga e, per tutta, intendo anche una schifezza come Omen IV: Presagio infernale (Omen IV: The Awakening), film per la TV diretto nel 1991 dai registi Jorge Montesi Dominique Othenin-Girard.


Trama: una coppia senza figli adotta una neonata che, crescendo, comincerà a mostrare comportamenti inquietanti...


Erano davvero anni che non guardavo un film brutto come Omen IV: Presagio infernale, orribile anche per gli standard di un prodotto televisivo. Non è un caso se il quarto capitolo della saga, che avrebbe dovuto essere l'inizio di un revival televisivo dopo 10 anni dall'ultima "avventura" di Damien, è stato il chiodo definitivo nella bara della serie, perché non c'è nulla di salvabile in questo film TV tranne gli omaggi alle musiche di Jerry Goldsmith e l'interpretazione di Michael Lerner. Quest'ultimo aveva evidentemente capito di stare partecipando a una vaccata, perché il suo investigatore privato è incredibilmente caricaturale e divertente, con un campionario di facce buffissime a sottolinearne la comprensibile perplessità. Il resto si alterna tra noia, bruttezza e stupidità. In quest'ultima "categoria" si inserisce una trama che, oltre ad introdurre la sconcertante nozione di fetus papyraceus (sfruttata, a onor del vero, in modo anche troppo perverso per un'opera televisiva), sfrutta le religioni alternative come mezzo per contrastare il demonio. Quest'ultima idea sarebbe anche interessante, non fosse che la cultura new age rappresentata nel film sembra uscire dritta da un numero di Cioè, tanto è superficiale e confusa; inoltre, per non farci mancare nulla, i realizzatori hanno inserito anche una sorta di critica alle sette estremiste, una parentesi folkloristica a base di matti e serpenti che, nell'economia della storia, conta quanto il due di coppe a briscola. Stavolta non si è riusciti nemmeno a veicolare l'idea di una protezione satanica a vigilare sulla progenie del demonio, né di una rete capillare di adoratori difficili da scovare, due elementi che esistono, certo, ma che non rimangono per nulla impressi. Ciò che rimane impresso, ahimé, è la bruttezza rara della piccola protagonista, sulla quale potrei, signorilmente, stendere un velo pietoso, ma lo sapete meglio di me che infierire è molto più divertente. 


Messa vicino all'inquietante patatino dagli occhi di ghiaccio, l'adolescente che non faceva paura nemmeno per sbaglio ma almeno non era mostruoso e il pargolo in odore di autismo maligno del remake, Delia fa paura per i motivi sbagliati. La povera ragazzina scelta per il ruolo, probabilmente, non aveva idea di come veicolare la sgradevolezza di esser figlia del maligno, quindi ha deciso di assumere una perenne espressione da peppia, da bambina da prendere a schiaffi 24/7, col mezzo sorrisetto a fior di labbra di chi ti prende per il culo e l'odio negli occhi perché non le hai comprato l'uovo di Pasqua della Ferragni, in più è davvero brutta, poverina, di quella bruttezza che ti fa venire voglia di prenderla e portarla all'interno del consiglio direttivo di un'azienda per vedere quanto possono arrivare a deriderla. Più volte, durante le sue improvvise apparizioni, ho sedato bestemmie a fior di labbra (il che, forse, ha reso felice il demonio, quindi obiettivo raggiunto!), ma proprio per lo schifo di vederla, non tanto per i jump scare, di cui, neanche a dirlo, il film difetta. Essendo un prodotto per la TV, Omen IV manca anche di qualsiasi goccina di sangue o morte a effetto e, a parte la mocciosa protagonista, l'orrore nasce dalla generale sciatteria dell'operazione, da attori incapaci, da un'aura anni '90 talmente forte che mi sono ritrovata addosso la roba della Energy senza nemmeno accorgermene,da una tristezza annullata solo dal pensiero che, per una volta, il pubblico ha condannato l'operazione senza possibilità di appello. Prego (a questo punto, però, non so chi) che Omen - L'origine del presagio non sia altrettanto brutto o scoppierò in cocenti lacrime in sala, pronunciando a più riprese il nome di Delia invano.

Jorge Montesi è il co-regista della pellicola. Cileno, ha diretto episodi di serie quali Alfred Hitchcock presenta, Venerdì 13, I viaggiatori delle tenebre, Highlander, Oltre i limiti, Relic Hunter. Anche attore, produttore e sceneggiatore, ha 75 anni.


Dominique Othenin-Girard
è il co-regista della pellicola. Svizzero, ha diretto il film Halloween 5 - La vendetta di Michael Meyers. Anche sceneggiatore e produttore, ha 66 anni. 


Il regista Jorge Montesi è subentrato a Dominique Othenin-Girard quando quest'ultimo ha abbandonato la produzione senza portare a termine il lavoro. Don S. Davis, che interpreta Jake Madison, era il maggiore Briggs della serie Twin Peaks. Omen IV è stato per molto tempo l'ultimo film della serie dopo Il presagio, La maledizione di Damien e Conflitto finale, ma se volete c'è anche il remake del 2006, di cui dovrei riuscire a parlare nei prossimi giorni. ENJOY!

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